giovedì 30 aprile 2020

RVG - I used to love you



Da Melbourne (Australia) arriva uno dei dischi della mia top ten 2020. Ne scriverò più dettagliatamente su Tomtomrock quanto prima.

"Non siamo più gli stessi, non siamo proprio più gli stessi", già, per colpa di questo virus.

mercoledì 15 aprile 2020

LA canzone del 2020


Leggendo il testo è incredibile che sia stato scritto molti mesi prima della pandemia.
Bentornato Michael, mi sei mancato.

P.S. nell'intervista con Cattelan Stipe dice di avere abbandonato i social un anno e mezzo fa perchè pensa siano "destructive to the soul" (nocivi per l'anima)...In questi giorni in cui guardo la serie Black mirror non posso non condividere questa sensazione...

lunedì 13 aprile 2020

Finalmente avremmo tempo per fare, ma non riusciamo a far nulla


[Sono le 22 e 22 di sabato sera].
L'altro giorno, scrollando il feed di Instagram, mi sono imbattuto in una frase:
"Non tutti reagiamo a questa quarantena con mille piani e attività. E va bene così. Smettiamola di colpevolizzarci per non avere voglia di fare."
È un adagio che ha iniziato a muoversi sotto traccia, tra il video di una coppia di anziani che balla sul balcone, i meme, le dirette, i Ferragnez alla finestra, le iniziative benefiche, le polemiche sui runner e le piccole-grandi preoccupazioni con le quali ciascuno di noi sta facendo i conti ogni giorno: finalmente avremmo tempo per fare, ma non riusciamo a far nulla
Mi è capitato di rileggerlo, declinato in formule diverse, condiviso nelle stories di amici, spiegato più diffusamente in articoli di esperti e psicologi: non dobbiamo pretendere troppo da noi stessi.
In una situazione di angoscia e pericolo come quella che viviamo, una reazione iperattiva non è la regola, ma una possibilità.
Possibilità alla quale mi vien da credere abbiano aderito tutti gli influencer che seguo, che hanno fatto partire una "Trenta ore per la vita" di live da far invidia a Lorella Cuccarini, e i runner dell’ultimo minuto, colti da una voglia di sudare a cui sono certo mai avrò la fortuna di andare incontro nella vita.
[Sono le 23 e 23, ha appena finito di parlare il premier Conte].
Ci lamentiamo sempre di non avere tempo. 
Le nostre giornate sono l’accumulo di impegni di lavoro, studio, famiglia, tra i quali ostinatamente ci ritagliamo spazio per la palestra, le cene con gli amici, la discoteca, il calcetto, i weekend fuori porta, le vacanze.
Tutto permette di cullarci in uno stato di insoddisfazione esistenziale che ha una sola consolazione.
Una passione, un sogno nel cassetto, un obiettivo da raggiungere che la contingenza della vita che viviamo tiene lontano, ma è la chimera cui affidare il nostro ultimo pensiero prima di addormentarci.
È il piano B: il libro che non abbiamo mai scritto, la lettera di licenziamento per poter cambiar vita come ha fatto il nostro ex compagno di classe.
È il corso di giapponese a cui non abbiamo tempo di andare, quello di chitarra, il fisico perfetto da modellare in palestra.
È quell’unica consolazione che ci tiene in piedi nelle giornate di merda quando torniamo a casa brasati alle 9 di sera.
Potrei essere più di quello che sono, se solo volessi.
E adesso quella chimera è lì in un angolo della casa che ci guarda, ci chiede attenzione.
È una presenza invecchiata male, è il sogno di quando avevamo 16 anni che non siamo mai riusciti a realizzare, e di fronte alla caducità della vita che stiamo toccando con mano, è passato a riscuotere le puntate investite nei momenti più duri.
E noi che facciamo?
Cantiamo dai balconi per ricordarci di essere vivi, mentre intorno la gente muore.
Facciamo il pane in casa, la pizza, ma la verità è che non riusciamo neppure a prendere in mano uei libri che sempre avremmo voluto avere il tempo di leggere.
Non solo perché siamo troppo preoccupati per concentrarci, troppo inquieti e privi di certezze per poter finalmente investire le nostre energie nel progetto che abbiamo sempre pensato avrebbe potuto risollevarci, ma perché siamo mediocri.
Perché in questa enormità di tempo concesso, tempo reclamato per anni e finalmente ottenuto, ci rendiamo conto che nulla di quel che ci riguarda è speciale.
La nostra stessa vita, la sua ordinaria monotonia, perde di significato di fronte all’enormità e alla grandezza dell’Esistenza.
Facciamo i conti con la nostra natura umana troppo umana: pigra, vogliosa, isterica, annoiata, volubile, insoddisfatta, egoista, irrispettosa, inetta, viziata, pusillanime, illusa e manipolatrice.
Siamo piccole macchine indefesse che hanno trovato la propria ragion d’essere, il proprio stato di quiete, nella quotidianità.
Ora il giochino si è inceppato. 
Il tempo, l’oggetto che mai abbiamo potuto maneggiare, è nelle nostre mani, e come una fonte luminosa, fastidiosissima, non fa altro che mostrare il re nudo nella stanza.
E quel re siamo noi.
[Sono le 11 e 39 di domenica mattina].
Forse è sbagliato pensare che il modo di vivere questi tempi di un solo individuo, il suo paradigma, possa essere applicato come un’etichetta all’intera umanità.
Qualcuno potrebbe sentirsi offeso dall’affresco impietoso sulla natura umana – prima di tutto la mia – che ho dipinto con le parole di ieri sera.
Forse c’è chi, quel sogno nel cassetto, lo ha già archiviato da tempo, mettendosi l’anima in pace.
Chi ha fatto i conti con la propria natura ben prima che la pandemia avanzasse. 
Ma sarei felice se ci fosse almeno una persona che si riflette in questo stato di inadeguatezza alla vita in cui mi ritrovo intrappolato; dovuto non tanto alla constatazione che il virus, la paura che suscita, mi tiene legato inerme e pigro a una sedia, quanto a fare i conti, davvero, con il titanismo tra ciò che sono e ciò che mi sono illuso di poter essere se solo volessi.
Perché quando ti convinci che l’unica cosa per poterti migliorare, per poter fare, sia il tempo, ecco che quando il tempo ti piomba sorprendentemente addosso, scopri di non avere le idee abbastanza chiare per scrivere quel libro – e forse neppure il talento – che sei troppo pigro per perdere chili in un momento come questo, che il giapponese, per uno che non ha mai imparato bene neppure l’inglese, è una sciocchezza, che le tue poesie o i tuoi disegni o le foto degli interni che pubblichi sul secondo profilo Instagram anonimo sperando prima o poi ottengano attenzione, non interessano a nessuno perché mediocri e scadenti.
E allora è più facile buttarsi sul divano e scegliere una serie, aspettare passi tutto questo tempo, con la sua forza di metterci all’angolo, per poter tornare a pontificare sul nulla prima di addormentarci.
Cosa ne sarà delle nostre chimere quando tutto sarà finito?
Non ho una risposta.
Come recita l’aforisma: non ci sono soluzioni semplici a problemi complessi.
Probabilmente sto davvero chiedendo troppo a me stesso, colpevolizzandomi, come ripetono gli esperti. 
O forse è solo la scusa che mi serve ora per non trovare una risposta, chiudere questo pezzo, e accendere una serie.

(Scritto di Daniele Biaggi, ricevuto da Andrea Giuliodori. Un Grazie a entrambi.)

domenica 12 aprile 2020

E cosa succede? Non si era detto tre giorni?


Pasqua 2010 / 2020


Easter Sunday, we were walking.
Easter Sunday, we were talking.
Isabel, my little one, take my hand. Time has come.
Isabella, all is glowing.
Isabella, all is knowing.
And my heart, Isabella.
And my head, Isabella.
Frederick and Vitalie, savior dwells inside of thee.
Oh, the path leads to the sun. Brother, sister, time has come.
Isabella, all is glowing.
Isabella, all is knowing.
Isabella, we are dying.
Isabella, we are rising.
I am the spring, the holy ground,
the endless seed of mystery,
the thorn, the veil, the face of grace,
the brazen image, the thief of sleep,
the ambassador of dreams, the prince of peace.
I am the sword, the wound, the stain.
Scorned transfigured child of Cain.
I rend, I end, I return.
Again I am the salt, the bitter laugh.
I am the gas in a womb of light, the evening star,
the ball of sight that leads that sheds the tears of Christ
dying and drying as I rise tonight.
Isabella, we are rising.
Isabella, we are rising . . .

Per questa pasqua così drammatica e surreale sono andato a riprendere quanto scrissi DIECI ANNI FA. A seconda dei punti fa tenerezza, compassione, rabbia, per come sia ancora attuale, per me, dieci anni dopo.

E' molto bello il concetto della pasqua come passaggio e addirittura risurrezione. Senza andare nel mistico o nel surreale, mi piacerebbe che questa pasqua significasse la resurrezione, la rinascita, il passaggio in meglio di tanti cristi, non solo del figlio del capo (JC Superstar). I poveri cristi senza lavoro, senza cibo, senza salute, senza affetti, senza futuro. E sono tantissimi. (...) Quindi è soprattutto a loro che vanno i miei auguri di buona pasqua, e anche al cristo che, volenti o nolenti, tutti abbiamo dentro (quello che soffre, prende schiaffi, perdona, lo mettono in croce).
La pasqua dal 2001 è anche la ricorrenza della morte di mio suocero, una persona speciale che mi manca ancora tanto. La sua scomparsa mi ha cambiato tantissimo, nell'approccio alla vita, così come la malattia di mio padre. E due lezioni ho imparato: 1) mai smettere di sorridere, coltivando il senso dell'umorismo e la consapevolezza dell'essere in qualche modo fortunati 2) deve esserci qualcosa fuori dal lavoro, perchè i soldi non danno la felicità.
Mamma mia, invecchiando divento sempre più banale e ingenuo! Scusate.
Auguri.

giovedì 9 aprile 2020

Tornare a quale normalità?















Si fa un gran parlare di "ritorno alla normalità", dopo il lockdown. Francamente spero di non ritornare alla  cosiddetta normalità che vigeva prima del Coronavirus: la mia speranza è che questo flagello simil-apocalittico ci abbia fatto capire tante cose, e che ci faccia creare piano piano una nuova normalità, quando tutto ripartirà. 
Temo che questa sia la mia ennesima illusione, lo so, ma non ci rinuncio, a questa speranza.
Molto interessante questo articolo spagnolo, per capire cosa fosse la normalità prima del Coronavirus.

mercoledì 8 aprile 2020

Ci vorrà tempo, tempo, tempo


Queste giornate, queste settimane di isolamento/quarantena hanno cambiato la mia percezione del Tempo. Non so ancora se per sempre o se sia stata solo una lezione passeggera, una cosa alla "ma ti ricordi quando". Lo scoprirò quando tutto tornerà "normale", e per normale intendo solo che si potrà stare senza mascherina e guanti.

martedì 7 aprile 2020

Gli amori solitari degli Anaïs














All'interno di questo articolo sul sito del Secolo XIX si può vedere ed ascoltare come abbiamo coverizzato in modalità lockdown la deliziosa Amoureux solitaires di Liò...

Genova – Durante questo periodo di emergenza vi proponiamo un giro virtuale tra le realtà genovesi che nonostante la quarantena tengono viva l'offerta artistica e culturale. Ad ogni protagonista abbiamo chiesto di "tenere aperto", offrendoci un contenuto video in linea con la sua proposta. La ventesima tappa ci porta ad ascoltare la musica degli Anais, duo genovese composto da Vera Vittoria Rossa e Franco Zaio. Anais sta lavorando da tempo ad un nuovo album dal titolo Emily Dickinson (because I could not stop for death), progetto che utilizza in musica i versi della poetessa statunitense.

«L’idea di usare le poesie della Dickinson come testi per le canzoni risale al lontano 1997, quando il disco dei SYBIL si aprì con la mia “Good Morning Midnight” - ci spiega Frano Zaio - Dal 2017 abbiamo iniziato come Anais a lavorare sulle poesie di Emily: piano piano ho registrato tutte le basi, uno strumento alla volta, allo Studio K di Bernardo “Berna” Russo, mentre Vera si è occupata dell’interpretazione vocale delle poesie diventate melodie e delle melodie diventate poesie».

Il lockown ha rimandato l'uscita del progetto che avrebbe dovuto essere pubblicato inizialmente in edizione limitata con 60 copie numerate su formato tape. Per ingannare il tempo della quarantena Anais ci ha offerto la cover di "Amour solitaire", brano della musicista belga Lio. Per il duo la musica è una presenza quotidiana anche in isolamento: «Io lavoro da remoto soprattutto la mattina. Il resto poi sono film e tanta musica, suonata e ascoltata. Nonostante la mia professione in questo periodo non "ho testa" per leggere libri. Avrei tante piccole/grandi cose arretrate da fare in casa, ma poi finisco sempre per imbracciare la chitarra, il tempo vola con la musica - continua Franco - Penso che quando non sarà più necessario il distanziamento sociale ci sarà una gran voglia di contatto umano concreto, aggregazione, musica e spettacoli dal vivo, nonostante le grandi difficoltà economiche. Perché ci siamo resi conto con la quarantena che la realtà di persona è molto meglio della realtà virtuale».

La voce del gruppo, Vera Vittoria Rossa, ha una storia personale che può essere d'esempio per tutti in questo periodo denso di paura per il futuro: «L’anno scorso, proprio un anno fa, sono stata operata di un carcinoma. Quando stai per essere operato di un tumore maligno non sai nulla di quello che succederà dopo: quali cure? Quali conseguenze? Per quanto tempo? Ecco, ironia della sorte quest’anno viviamo collettivamente quel sentimento di disorientamento, di paura, di non sapere quando tutto finirà, di fiato sospeso».

La forza per lottare è ora una priorità comune: «Non lasciamoci paralizzare dalla paura, isolandoci anche psicologicamente oltre che fisicamente. Proviamo a restare umani in una condizione che non è congeniale all’umano. Proviamo a fare comunità anche da qui, a includere l’altro nei nostri pensieri. Senza fiducia in noi e negli altri, il virus avrà gioco facile e continuerà a predominare nelle nostre esistenze anche quando, si spera presto, sarà arginato - continua Vera - Ci sarà quello che nel tumore è il timore della recidiva: saremo ancora spaventati a lungo dal virus, anche a livello fantasmatico. Confido che si possa trovare una nuova dimensione della musica dal vivo per poterla sdoganare nella famosa fase 2 dell’emergenza Covid. La musica senza la gente è un fucile carico senza grilletto. Il lockdown per un soffio ha impedito lo svolgimento di un nostro concerto con gli En Roco: è nella nostra wishlist da allora». Per restare aggiornati sulla musica degli Anais si possono visitare i profili Facebook e Instagram.