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Voglio però riportare due riflessioni sorte alla mostra.
1) in coda all'entrata, un simpatico ragazzo di Siena (nientemeno) mi ha espresso la sua sorpresa nello scoprire una città bellissima, in cui vuole tornare di nuovo con calma. Ergo: Genova non sa farsi conoscere ed apprezzare turisticamente, se non col richiamo di eventi di portata nazionale.
2) nella mostra De Andrè parla di Genova come "città dei rimpianti": ci stai bene, poi per lavorare e farti apprezzare devi lasciarla, e a quel punto cominci a rimpiangerla, amarla ed apprezzarla, persino.
Dai due aneddoti si deduce che Genova è una città chiusa e ingrata. Finchè ci rimani dentro fino al collo (come nelle sabbie mobili...) ti soffoca, ti narcotizza, ti uccide, con la sua diffidenza per le novità, il suo sarcasmo, il suo pessimismo. Sento già i commenti tipo "E perchè non te ne vai allora? Cosa ci rimani/sei venuto a fare?". E' qui il punto: i commenti che vorrei prefigurarmi sono tipo "Ma no guarda che le cose sono molto migliorate, tutto sta cambiando, e in meglio". E invece no, perchè qui il feeling dominante è "Se le cose cambiano, cambiano in peggio" se non "Ma perchè cambiare: non va bene così?".
E allora continuiamo così, facciamoci del male.