Al ritorno dalla Sardegna una Genova spettrale, dignitosa, composta, in attesa di risposte concrete e un futuro meno provvisorio e "tappullato". Genovesi non si diventa, lo so, ma amo sempre di più questa città, la città dei miei figli e di mia moglie, anche se, non essendo Genovese, riesco a essere più critico/autocritico di loro.
Dopo il disastro, è venuta fuori una filastrocca di Rodari del 1962: fa venire i brividi la sua profetica attualità.
C’è, chi dà la colpa
alle piene di primavera,
al peso di un grassone
che viaggiava in autocorriera:
io non mi meraviglio
che il ponte sia crollato,
perché l’avevano fatto
di cemento “amato”.
Invece doveva essere
“armato”, s’intende,
ma la erre c’è sempre
qualcuno che se la prende.
Il cemento senza erre
(oppure con l’erre moscia)
fa il pilone deboluccio
e l’arcata troppo floscia.
In conclusione, il ponte
è colato a picco,
e il ladro di “erre”
è diventato ricco:
passeggia per la città,
va al mare d’estate,
e in tasca gli tintinnano
le “erre” rubate.
(Gianni Rodari – 1962)
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